Ciao a tutti Sharpyni!
Come state? Spero tutto bene!
Dopo un periodo di pausa, eccomi di nuovo con la "Rubrica delle interviste"! Questa volta ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con Roberto Botturi, autore de "Il paradiso è un posto con un Vermentino in frigo" edito Infinito Edizioni.
Per leggere la recensione cliccate qui! Prima di iniziare, vi lascio la cover e la trama.
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Trama: Un padre affettuoso con il pallino per la musica lamenta un forte mal di schiena. Il giorno dopo scopre di avere il cancro.
Cercando con l’ironia di domare la rabbia e i disagi, comincia le cure: “Faccio una chemioterapia da giovane, così mi tolgo il pensiero”, dice agli amici. Con l’umorismo sopravvive al pietismo e cerca dei lati positivi nella sua condizione di temporanea disabilità, mentre nel viaggio verso la guarigione si compie una trasformazione dell’uomo che tenta di dare il giusto senso e peso ai gesti della vita, concedendo maggiore spazio alla follia. Gesti che acquistano un’importanza prodigiosa.
Attraverso il mondo complesso della malattia, che nessuno vorrebbe conoscere, rimane l’urgenza di vivere più intensamente, una forza conosciuta meglio dai bambini e da chi sente di essere sopravvissuto a qualcosa: una vitalità e una nuova inquietudine che stride con la serenità delle persone che ci stanno attorno. Un nuovo stato nel quale finalmente le azioni sembrano corrispondere alle intenzioni: “Dovrei andare” diventa “vado”. “Dovrei fare” diventa “faccio”.
Intervista
Ciao Roberto, grazie per aver accettato l’intervista! Iniziamo subito con una domanda diretta. L’idea di scrivere un libro così importante, dal tema molto forte, è nata subito oppure l’hai elaborata con il tempo?
Ciao Sharon e grazie per questa opportunità. Il libro è nato immediatamente, poi è rimasto a sedimentare per mesi. Devo dire grazie alla sciagura del lockdown per avermi dato il tempo di rielaborarlo e cercare un editore. Il testo è nato in modo naturale. A mano a mano che scoprivo il viaggio che mi attendeva, di cure complicate, sentivo la necessità di non dimenticare ogni passaggio, ogni cosa che mi stava succedendo perché ne succedevano anche di belle e interessanti. Capitavano incontri stimolanti, capitava di ricevere gesti gentili e capitavano novità positive anche in famiglia, nonostante la rivoluzione che i familiari subiscono in queste situazioni. Mia figlia, per esempio, poteva stare qualche giorno dalla zia. Questa opportunità, per noi apparentemente insignificante (e frutto di una tragedia), era per lei una novità super eccitante. Appuntando i fatti degni di nota, e cercando di capire quali fossero le caratteristiche positive, è sgorgata una scrittura quasi automatica che è diventata un racconto che può essere d’ispirazione per altri.
Nonostante la malattia, nel libro si respira tutto ciò che non rientra nella classica idea di una persona che sta rischiando la vita. La positività si percepisce continuamente e sembra radicata nel profondo del tuo cuore. È questo il messaggio che vuoi trasmettere ai tuoi lettori? Quanto la positività influisce su questa battaglia?
Molti sono convinti che un atteggiamento positivo influisca anche sul piano fisiologico della persona. C’è la ragionevole certezza che sia così ma non è un atteggiamento che ho ricercato, credo provenga dal mio carattere. Ognuno vive le situazioni come riesce, con gli strumenti che ha maturato. Impossibile convincere qualcuno ad essere positivo o ad essere felice. Posso consigliare di impegnarsi a riconoscere quali siano le cose che fanno bene e lavorare perché riaccadano (e viceversa, con le cose che ci fanno stare male). La mia positività proviene anche da un certo “pensiero laterale” che ho sviluppato negli anni, col quale si riesce a vedere la realtà da diverse angolazioni.
Ti confesso una cosa. Avendo vissuto anche io (indirettamente) una situazione simile alla tua, ho riscontrato un grande cambiamento di prospettiva. Dopo aver superato un ostacolo così grande, si tende a guardare e a vivere la vita in modo diverso. Ecco, come ti ha cambiato questa esperienza?
Sentiamo spesso dire che quando ci viene comunicata una malattia grave tutto muta, la propria esistenza entra in centrifuga e all’uscita dalla lavatrice si rivaluta la vita in modo completamente diverso, più genuino, con meno meschinità e meno retropensieri che inquinano spesso le nostre azioni. E con un pizzico di ammorbidente. Qualcuno arriva addirittura a ringraziare un evento nefasto per i cambiamenti che ha stimolato. Chi sta vicino a un baratro vive in equilibrio approfittando di ogni singolo elemento come maniglia per aggrapparsi, arrivando ad apprezzare l’esistenza come non mai. Il trucco sarebbe attivare questi meccanismi senza dover per forza vivere un dramma. Riconoscerli e metterli in pratica senza doversi ammalare.
Passiamo ad una domanda che, forse, può sembrare “banale”. Quanto è stato difficile scrivere “Il Paradiso è un posto con un Vermentino in frigo”?
Per la verità è stato facile, un’attività al momento entusiasmante e sicuramente curativa perché pubblicavo frammenti su un blog dove tenevo informati gli amici, una specie di bollettino medico. Questo mi risparmiava qualche telefonata di aggiornamento dove ci si trova a ripetere le stesse cose ma soprattutto a sentire l’imbarazzo delle reazioni alle notizie. Ma questo è un problema di chi ascolta e deve reagire, non di chi vive la malattia. Parlare di cancro o di altri argomenti apparentemente pesanti serve a oggettivare i problemi, a definirne i confini e in qualche modo a metterli all’esterno di sé, per guardarli all’esterno. E questo fa bene al malato.
Se ti interessa come ho affrontato la scrittura dal punto di vista tecnico posso dire che è bastato elencare i fatti e metterli in sequenza quasi come in un diario. Il risultato è un libro che non ha certamente l’intreccio di un romanzo ma questa formula si è rivelata vincente, in grado di appassionare molti lettori con capitoli brevi da prendere come una ciliegia che tira l’altra. Per quanto riguarda lo stile e molti contenuti ironici sono stato aiutato dalla passione per la scrittura (e lettura) di testi comici.
Spesso si procrastina e solo quando si tocca con mano l’importanza di vivere ci si rende conto che bisogna fare, agire. Sei d’accordo con me?
Trattare male le persone, lasciare un cattivo ricordo di sé, accumulare inutilmente denaro e oggetti, costruire case immense che sopravviveranno per generazioni sono tutti atteggiamenti di persone che pensano di avere una vita eterna. Ma si viene distratti da piccole cose essenziali su cui sarebbe meglio spendere le nostre energie.
Hai intenzione di scrivere altro?
Sono sempre attivo nella scrittura di testi ironici per diletto. Qualcosa si può trovare seguendomi su Facebook e Instagram o seguendo il mio podcast Piovono Stambecchi. Inoltre, una quindicina di anni fa ho ideato uno spettacolo musicale/teatrale che oggi è in continua evoluzione e che portiamo in scena regolarmente (io vi suono la batteria). Tutte attività che mi tengono mentalmente e fisicamente in vita, anche quando la salute vacilla!
Siamo arrivati alla fine dell’intervista. Vuoi lasciare un messaggio ai nostri lettori?
Chi non crede nella tecnologia dei farmaci e nelle novità delle cure mediche dovrebbe abbandonare immediatamente l’uso del telefono, del computer e dell’automobile. Tali oggetti sono immensamente ricchi di scoperte ottenute proprio con l’applicazione del metodo scientifico sperimentale. Sicuramente la medicina non è una scienza esatta (quale scienza lo è?) ed è solamente all’inizio della propria storia. Bisogna aver pazienza e investire (e credere) nella ricerca.
Siamo ricolmi di esperti o motivatori che dispensano frasi d’effetto. Io posso dire che “sono sicuro che un gesto gentile cambia tutto”.