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Intervista a Luca Leone

 Ciao a tutti Sharpyni!

Oggi chiudiamo la settimana con l'intervista mensile. Questa volta ho avuto il piacere di chiacchierare con Luca Leone, autore di "Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi" (la recensione la trovate qui).

Prima di proseguire, vorrei spendere due parole sull'autore. Chi è Luca Leone?

Luca Leone (1970), giornalista professionista, è laureato in Scienze politiche. Ha scritto per molte testate. Ha firmato una ventina di libri per più editori; tra questi, per Infinito Edizioni, ama ricordare: "Srebrenica. I giorni della vergogna" (2005); "Bosnia Express" (2010); "I bastardi di Sarajevo" (2014, II edizione 2020); "Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio" (2017, da cui è tratto il monologo teatrale Perché io ho vinto); "Tre serbi, due musulmani, un lupo" (2019, con Daniele Zanon); "La pace fredda" (2020, con Andrea Cortesi, libro+Dvd); "I dimenticati" (2020, con Riccardo Noury); "Dayton, 1995" (2020, con Silvio Ziliotto). 
Blog, Facebook e Instagram: Inchiostro al Vento

Detto questo, iniziamo con l'intervista!

Ciao Luca, grazie per questa intervista. Parto subito dicendoti che il tuo libro colpisce dritto al cuore. Vuoi spiegarci che cosa si intende per “Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi”? 
Ciao Sharon, grazie a te per l’attenzione verso il libro. Il titolo riassume l’incomunicabilità tra chi vuol essere forzatamente e radicalmente sordo a ogni stimolo, a ogni umanità, in questo caso i nazionalisti, tanto da non riuscire neppure più a lasciare in pace i morti coinvolgendoli nelle loro follie ideologiche dietro le quali si nasconde solo una smania di predominio, di gestione del potere e delle vite delle persone. Persino da morte. Il nazionalismo è stato uno dei cancri del XX secolo ed è una delle metastasi del XXI, più o meno travestito da cosiddetto sovranismo. 

L’orrore della guerra trasuda in ogni pagina. Quanto ti è costato ricordare e trascrivere quei momenti? 
Mi costa molto ogni volta che ne parlo. Come mi sta costando adesso, in viaggio nei Balcani con una cinquantina di lettori e attivisti per i diritti umani desiderosi di toccare con mano l’orrore della guerra, anche trent’anni dopo, per provare a capire come fare a rimboccarci tutti le maniche e far sì che davvero – e non solo a parole – non accada più. E intanto sta accadendo, anche in questo preciso momento, in decine di posti sul pianeta, a cominciare da Ucraina e Territori palestinesi occupati. 

Si nota come le parole fluiscano come un fiume in piena, quasi “rigettate”, come se fosse un atto liberatorio nei confronti di quei momenti dolorosi. Sbaglio? 
C’è la volontà di scegliere con massima cura le parole, snellendo il possibile e l’impossibile e riassegnando a ogni termine usato in un preciso contesto il suo significato, talvolta doloroso. Nella lettura, grazie anche alla musicalità del risultato finale, sembra un testo in piena. Ma nel processo creativo, è stato necessario soppesare ogni singola virgola per non lasciare non detti e per non rischiare buonismi inutili, forse anche dannosi. 

Qual è stata la poesia che ti ha fatto più male? 
Non ce n’è stata una sola che non me ne abbia fatto. Ma forse quella che amo di più e che mi fa più male è “La roulette”, una storia vera come lo sono tutte le storie raccontate nel libro. Un’altra che mi fa tanto male è “Iddio latita stasera”. A giorni riabbraccerò per l’ennesima volta l’amico Sakib, il sopravvissuto per miracolo che mi ha raccontato quella storia, la sua storia, e mi ha permesso di trasformarla in versi. 

Durante la lettura si percepisce come, davanti alla morte, non ci sia alcuna differenza di etnia, sesso, religione etc. Perché, secondo te, l’orrore della guerra continua ad esistere nonostante questa consapevolezza? Serve davvero morire per capire che siamo tutti uguali? 
La verità, mia cara, è che le differenze di sesso, religione, etnia etc. esistono perché ce le siamo inventate, pesano perché fa comodo, ci sono perché qualcuno ci si arricchisce di soldi e di potere, che non sono la stessa cosa e che non necessariamente vanno di pari passo. La guerra non solo non finirà mai – e non perché sia nell’indole umana, questa è una scusa patetica, ma perché fa schifosamente comodo a un numero ristretto di umani, che con la guerra si arricchiscono – ma negli anni a venire ce ne saranno sempre di più. L’essere umano del XXI secolo non è capace di ripensarsi, di riposizionarsi, di pensare nel lungo periodo. Forse non è proprio più in grado di pensare. 
Lo si vede con le resistenze ottuse verso le politiche di transizione energetica da parte di alcuni gruppi di potere che forse pensano di non aver inquinato ancora abbastanza; lo si vede verso il tentativo in corso in Occidente di smantellare le conquiste sociali degli ultimi sessant’anni, scuola inclusa; lo si vede in altri Paesi che rapidamente stanno percorrendo la strada che dalla democratura li porta all’autoritarismo e poi precipita giù verso la tirannia. Ci aspettano anni molto duri ed è difficile capire come in molti continuino, magari nella nostra stessa famiglia, a far finta di niente nascondendosi dietro la non-realtà dello schermo di uno smartphone. 

Oltre che essere aberrante, la guerra viola qualsiasi diritto conquistato (e acquisito) fino ad oggi. A livello Internazionale vige il famoso divieto dell’uso della forza ma, a quanto pare, non viene rispettato del tutto. Possiamo affermare, secondo te, che sia un divieto solo formale e non sostanziale? 
Il diritto internazionale è un insieme fragile di accordi bilaterali o multilaterali, non di regole condivise a livello planetario. È un esile corpo normativo insufficiente e costantemente vittima degli interessi di parte. Nel Novecento e nel XXI secolo diversi cosiddetti leader hanno dimostrato con quale e quanta facilità è possibile aggirare le norme internazionali facendone carta straccia (l’Italia ha fatto scuola fin dagli albori del XX secolo, con le teorie di un noto dittatore nostrano secondo cui gli accordi sono solo pezzi di carta), a partire da quelle sulla protezione dei richiedenti asilo (l’Italia è sempre in prima fila, in materia) e continuando con quelle sul trattamento dei civili e dei prigionieri di guerra fino a quelle sull’uso di armi di distruzione di massa, ivi incluse le mine anti-persona, eccetera. 
La recente invasione dell’Ucraina e il nuovo spaventoso capitolo del lungo conflitto israelo-palestinese ci dimostrano ogni giorno anche la fragilità non solo del diritto internazionale ma anche dei pochi tribunali esistenti per punire l’eventuale violazione dei diritti fondamentali che dovrebbero essere riconosciuti universalmente. Servirà ancora tanta strada e occorreranno molti decenni per fare qualche passo in avanti anche da questo punto di vista. Ma oggi c’è chi sta smantellando sistematicamente tutte le conquiste civili e normative degli ultimi sessant’anni, nel silenzio bovino della maggior parte di noi cittadini. 

Hai altri progetti nel cassetto? 
Sopravvivere, di questi tempi, può essere considerato tale…? 

Ringrazio ancora la C.E. per avermi dato la possibilità di intervistare Luca Leone e, come sempre, ringrazio anche Maria Cecilia Castagna per la fiducia e la gentilezza.


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